Un aspetto ricorrente tra gli adulti che scelgono di iniziare un percorso con me è l'aver scoperto di essere gifted da poco.
Quando iniziano a raccontarmi di sè, uno dei primi desideri è uscire da uno stato di confusione da cui non riescono a far emergere nuove idee, nonostante gli sforzi. Si sentono come se si trovassero improvvisamente con un oggetto nuovo tra le mani senza riconoscerne funzioni e utilizzi pratici.
E poi c'è un altro aspetto altrettanto rilevante: fino a ieri, chi ero veramente? Le decisioni che ho preso nella mia vita sono state davvero mie?
REINVENTARSI TROVANDOSI.
Quando scopri che il tuo modo di esprimerti, pensare, sentire e relazionarti è influenzato dalla neurodiversità, si presenta una domanda fondamentale: cosa faccio ora con questa nuova consapevolezza? Devo cambiare tutto? Continuare come prima? Comunicarlo al mio capo e licenziarmi se non ottengo il ruolo che chiedo da tempo? Aprire la cartoleria che sognavo a vent'anni? Iscrivermi alla facoltà di medicina come volevo fare dopo il liceo?
Di noi non lo ricordiamo, ma i bambini, quando esplorano il mondo intorno a loro, spesso devono fare diverse prove prima di riuscire ad afferrare un oggetto senza farlo cadere, o prima di capire che appoggiandosi al divano possono fare qualche passo in più.
In realtà, questo è il processo con cui apprendiamo: fallendo, riprovando, sperimentando, consolidando le nuove conoscenze e costruendo nuovi percorsi. Per poi ricominciare da capo.
Scoprire di essere gifted rappresenta un punto di svolta imprevisto che può trasformarsi in un'opportunità per vedere il mondo con occhi nuovi, permettendoci di esprimerci con maggiore sicurezza e, talvolta, osare chiedere di essere ascoltati e riconosciuti per ciò che siamo realmente.
MA TU COME LE MANGI LE UOVA?
Entrare in sintonia con se stessi è l'inizio di tutto: se non conosco i miei gusti, i miei desideri, la mia visione del futuro e il percorso per raggiungerla, non posso lavorare su ciò che mi circonda. Nel migliore dei casi, farò scelte parziali. Nel peggiore, rischierò di interpretare un fallimento come una mia carenza, legata alle mie vecchie capacità e consapevolezze, senza però riuscire a valorizzare quelle che oggi posso finalmente riconoscermi.
LA STORIA DI F.
F. lavorava in azienda da anni e aveva costruito una carriera di successo. In generale, si sentiva soddisfatta. Poi arrivò la valutazione di sua figlia, con quella nuova parola - plusdotazione - che dava un senso ai suoi comportamenti, mentre lo psicologo cominciò a spiegare nel dettaglio i punti di forza della bambina e dove invece faceva un po' più di fatica. E in tutto questo, le parole di suo marito: è proprio uguale a te!
F. ha iniziato a riflettere su se stessa, ripensando ai tempi della scuola, quando dopo il liceo aveva scelto giurisprudenza nonostante il suo desiderio di studiare psicologia. I suoi genitori le restituivano un'immagine precisa di sé: sei così appassionata di giustizia, da sempre difendi i più deboli, diventerai sicuramente un'ottima avvocata! Si era fidata di loro, senza mai rivelare quante volte aveva detestato studiare materie che trovava estremamente noiose.
Dopo la valutazione, scoprire di essere gifted è stato un misto di sollievo e preoccupazione: e ora che faccio? E poi subito dopo: mi iscrivo a psicologia!
Durante il nostro percorso insieme, F. ha affrontato molte altre sfide oltre all'obiettivo iniziale. Ha esplorato i suoi sentimenti riguardo al definirsi gifted e quanto spesso dichiararsi tale anche con gli altri la mettesse a disagio. Ha cominciato a vedere la possibilità di esprimersi diversamente nel suo lavoro, emergendo da un ruolo di supporto che, nel tempo, aveva assunto quasi inconsapevolmente. E si è chiesta quanto fosse realmente interessata a formarsi come psicologa, comprendendo alla fine che si trattava solo di un tentativo di riscatto rispetto a un passato ormai alle spalle.
F. ha scelto di non cambiare lavoro né di intraprendere studi universitari, ma ha sviluppato una strategia personale per migliorare il suo contributo professionale all'interno dell'azienda. Ha sostituito le azioni di mascheramento ed evitamento con una maggiore presenza e condivisione, modificando soprattutto quei comportamenti che spesso la mettevano in cattiva luce.
Ad esempio, squalificandosi quando proponeva un'idea, o tentava di essere parte di una discussione durante una riunione, F. dava la sensazione di essere poco sicura o, peggio, poco preparata.
Quando ha iniziato a modificare le formule per i suoi interventi, ha ricevuto apprezzamenti, ma anche più richieste di confronto da parte dei colleghi.
DIVENTA CIO' PER CUI SEI NATO.
Se, come F., utilizzi spesso espressioni come: "Credo sia un'idea pessima, ma…", "Ci provo, eh?!", "Non la sceglierei neanche io, ma cosa ne pensate di…", "È solo la mia opinione, sia chiaro, però…", fai attenzione a quante volte ti hanno davvero ascoltato o dato credito. In fondo, pensaci: se qualcuno ti proponesse qualcosa in questo modo, lo percepiresti davvero sicuro di sé e delle sue opinioni?
Adesso prova ad immaginare di poter sostituire il tuo modo di presentarti così:
"Un altro modo potrebbe essere...", "Riflettendo su questo argomento, proporrei...", "Su questo tema ho cercato altre fonti ed è emerso che...", "Sarei interessato/a a sviluppare meglio il tema perchè...".
Come e quanto cambierebbe il risultato?
Mettersi in gioco non è solo un modo per migliorare il proprio lavoro. Significa accettarsi per ciò che si è, riconoscendo il proprio valore non solo per sollevarci il morale, ma perché rappresentiamo una moltitudine di complessità che meritano ciascuna il proprio spazio. Uno spazio che dobbiamo concederci, prima di chiederlo agli altri.
Solo in questo modo possiamo convertire le nostre insicurezze in una fonte di energia e diventare ciò per cui siamo destinati: persone in grado di fare la differenza nel mondo, ispirando anche coloro che ci circondano a esplorare e trovare la loro vera essenza.
COSE BELLE CHE HO IMPARATO QUESTA SETTIMANA:
Quando definisco un obiettivo, da quel momento in poi diviene il mio interesse assorbente. Penso costantemente a cosa mi serve per raggiungerlo, rivedo le strategie, sperimento soluzioni, e monitoro i risultati per capire se mi avvicinano al traguardo. Fino a pochi giorni fa, non mi ero mai posta una domanda fondamentale: nonostante l'impegno, se incontro fallimenti, ho ancora la motivazione per continuare a investire energia in quel progetto o è meglio metterlo in pausa?
Concedermi la possibilità di lasciar andare per fare spazio a nuove opportunità è stato un momento di crescita tanto potente quanto liberatorio.